Martino Gaudiano

Scevro di approfondite nozioni tecniche, privo di qualsiasi connotato da critico d'arte, mi aggiro da semplice fruitore fra le stanze della casa del Maestro Gaudiano. Passo accanto a quadri appesi e ad altri appoggiati alle pareti, mi soffermo dinanzi a tele con e senza cornice, mi imbatto in progetti iniziati e mai terminati e ad altri ancora ultimati da poco.

Appartengono a periodi vari, a epoche sovrapposte di una vita intera, sono i sedimenti lenti e silenziosi delle età di una persona che ha vissuto la pittura mai come ostentazione di sé, semmai come intima riflessione capace di espandersi al mondo. Tra colori di varia essenza e forme che non obbediscono alle leggi della geometria euclidea, semmai ne inventano una ribelle eppure rigorosa, si avverte e si percepisce una passione per il dipingere che è stata e sa essere ancora pura, perché lontana da leggi di mercato o da coatte appartenenze a circoli accademici.

Sono pennellate in libertà quelle di Gaudiano, non cercano consensi né apparentamenti che ne giustifichino certe scelte ostiche, aggressive, accusatrici: sono atti necessari per la costruzione di un io, per la ricerca di un proprio personale modo di essere nel mondo e di essere del mondo. Pittura pura e, ancor di più, passione necessaria, in quanto atto terapeutico dell'autore nei confronti di sé e del fruitore ogni volta che il gesto pittorico si protende con commovente continuità verso la definizione di una verità mai vera, di un mondo diverso sempre uguale. 

E non è un caso allora che passino gli anni e le passioni, che si sovrappongano e si intersechino temi e stili, ma che al centro di ogni quadro graviti sempre e comunque una figura umana. Ci sono in queste tele uomini e donne con continua ricorrenza, ma non si tratta proprio per nulla di figure da posa o da riposo, semmai uomini e donne da esplorare nel fisico e nell'animo con voluttuosa introspezione, resa curiosa da quella loro ostentata deformazione che fa di ogni accenno di staticità, un movimento di mutamento. Sono – quelli di Gaudiano; uomini desquamati, distorti, sofferenti per il male che nascondono, sofferenti per il bene che vorrebbero, intagliati in scorze poliedriche e innaturali eppure così fortemente espressive, pur in una enigmaticità metafisica che mescola riflessione e azione, tensione verso e ripiegamento entro.

E' questo almeno quello che avverto mentre mi colpisce con la sua foga espressiva la vista de Il salto, dei Danzatori come dei Suonatori di Jazz. E mentre ne sento la forza comunicativa, mi accorgo anche che non riesco, non voglio e non so accostare questa poetica della pittura a un movimento o a un autore o a una scuola; so solo che è stupefacente notare come in questa cifra pittorica convivano una forte e strutturata esigenza di coniugare immagini della realtà, con un astrattismo che non nega spazi, volti, corpi e espressioni. Li attraversa semmai, deformandoli e utilizzandoli – fra l'altro per enunciare con eccezionale modernità, una summa priva di retorica e di accademicità della pittura del '900, senza per questo privarsi della centralità dell'essere umano e quindi della sua esistenza che si incarna in corpi ora aggressivi ora pietosi, in colori che sfuggono al tenue relegandolo negli angoli e nei contorni e rifulgono invece di vigore e di potenza al centro della maggior parte dei dipinti.

Ma è soprattutto questo desquamarsi dei corpi che ti si fissa negli occhi e nella mente, sono quei volti sconvolti, quelle maschere tolte dalle facce oppure sentite come paraventi agli eventi, che testimoniano una delle insopprimibili tematiche presenti nella pittura di Gaudiano. Ovvero quel dualismo perenne che divide ipocrisia da verità, quel rapporto maschera e volto, realtà e apparenza che condiziona e permea il nostro vissuto sociale, il nostro essere uomini sì, eppure uomini di falsità se e quando costretti all'interno degli ingranaggi della sociale e civile convivenza, che in realtà altro non fa che snaturarci, modificarci, piegarci non alle nostre esigenze o alle nostre aspirazioni e ai nostri voleri, semmai a quelli di un mostro crudele da noi stessi voluto e che noi stessi sconfigge e vince. Eccoci allora condividere la condanna di un Fetonte, che in una ardita prospettiva barocca dai connotati razionalisti, l'autore fa abbattere e precipitare sulle nostre teste, in una vertiginosa caduta da una irraggiungibile sommità verso cui l'umanità si protende con inutile vanità.

E' solo uno dei possibili esempi con cui Gaudiano denuncia l'aggrovigliata matassa esistenziale entro cui siamo avviluppati, augura una liberazione e una desquamazione da essa, una rinascita, una sorta di homo novus i cui connotati però mai sono definiti, mai sono ritratti con precisa evidenza. Sono semmai uno squarcio a la tromp l'oeil su fondo di una tela azzurra che fa da cielo a ruderi e resti classici (Ruderi), sono un orizzonte che è pupilla e occhio e cerchio dell'infinito (Frammenti), sono vie di fuga per irraggiungibili manichini equilibristi in equilibrio precario tra fili e catene (Equilibristi).

In questa pittura che non indulge a un rasserenante buonismo nemmeno quando affronta i temi della natura – spietati di pungente cattiveria sono gli Uccelli- si trova un soffio di pace e di contemplazione semmai nel piacere scenografico di dettagliare vicoli e viuzze immerse in una penombra notturna delicata del suo azzurro e soffusa di umori attorniati da memorie e teneri ricordi (Notturno e L'Aquilone). Questa leggerezza metafisica si espande e traversa tele e dipinti, si sofferma ancora di più sui cicli dedicati alle stagioni dove con autobiografica interpretazione l'autore pare soffermarsi con maggior dettaglio sull'autunno, così rigoglioso di vita e di avventure che ne innervano e ne irrorano ancora vene e linfa, tronchi e foglie, in un inno vitale e pieno di un'esperienza seminata, che ora dà con un ultimo getto generoso e vigoroso fiori e frutti.

Questo colgo con occhio precario, con sguardo imperito con strumenti pochi e così poco addestrati. Ma se questo coglie un occhio dilettante, questa è anche la testimonianza di un'arte e di un artista che di certo sa parlare all'arte e agli artisti, ma assai di più all'occhio normale di una persona normale a cui consegna con queste tele un messaggio intessuto di vibrante forza espressiva.