Martino Gaudiano

Un sogno può durare quanto una vita. Perché la sua sostanza si fa pensiero, ossessione, diventa la ricerca di una forma o la suggestione di un colore. Il valore di un significato capace di dare una spiegazione al tutto, che ognuno di noi intimamente persegue lungo le tracce di un sentiero che è solo suo. Intimamente suo.

E’ l’inseguimento di un universo che si dipana entro le pieghe di una sfumatura, per perdersi in vertigini che paiono infinite. Un percorso che costa fatica e non concede sconti, né tantomeno ammette compromessi, ma impone piuttosto un’opera costante di lettura e rilettura di sé e del mondo, paziente in quanto amorevole, perché ubriaca di poesia e di verità.

Una metamorfosi continua, inarrestabile, perpetua, dal momento che tutto muta sempre, suggerendo una costante fluttuazione anche alla percezione di sé e dell’altro da sé, come suggerivano gli antichi filosofi della Magna Grecia, di cui le opere raccolte in questo catalogo riflettono l’inesausta necessità del loro Autore di interrogare gli uomini, le cose, gli dei e gli animali, gli astri e gli infiniti mondi, traducendoli negli scenari compositi dell’Arte: ordendo in tal modo l’intima intelaiatura di ogni linguaggio che ambisca raccontare qualcosa di noi agli altri e a percepire degli altri quel tanto che basta per comprenderli e intuirli simili a noi, in tutto e per tutto umani, nella miseria o nella grandezza. Un gioco di prospettive dunque, un accanito e appassionato studio, squisitamente umanistico, che non trascura nulla pur di avvicinarsi, almeno un poco, alla consapevolezza delle cose, che è in definitiva la bellezza del Vero, almeno quanto lo è una pagina di letteratura, il respiro della luce, l’esattezza dei fraseggi musicali.

E poi subentrano mille altre sensazioni, emozioni che tutte insieme fanno la tela di una vita densa, complicata, problematica e appassionata, giocata lontano dalle ubbie della moda del momento, libera dalle buone prassi e dagli insopportabili manierismi imposti dalle gallerie d’Arte, svincolata dal tentativo di compiacere i critici più quotati per guadagnare un posto al sole o peggio ancora le esigenze del mercato, per raccattare quei trenta danari da spendere alla faccia dell’ispirazione vera. Una poetica che pare ricalcata sulla silloge di Dante, quando imperiosamente canta contro ogni comoda massificazione:

"I'mi son un che, quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch'e' ditta dentro vo significando." (Purg. XXIV, vv. 52-54)

Bellissimo. Dove Amore è da intendersi nella sua più nobile e complessa accezione di quel demone socratico che dà voce interiore agli imperativi categorici della nostra coscienza.

L’Arte, come la Letteratura, la Poesia, la Musica, nasce dal delicato equilibrio tra le ragioni dell’estetica e quelle insindacabili dell’etica. Fragile equazione che in troppi alterano svuotando l’opera di ogni urgenza e di ogni messaggio o schiacciandola sotto il peso di un contenuto monumentale che ne uccide la bellezza. Ne violenta la leggerezza. Ma non qui, dove invece avviene l’esatto contrario, e tutto pare teso alla ricerca di quell’unico, plausibile equilibrio, che diventa palesemente, in uno dei quadri più avvincenti, equilibrismo di funamboliche fughe tra prospettive sognate ed esplose aspirazioni oltre le gabbie che la realtà quotidianamente ci impone.

Alcuni antichi commentatori sostenevano che il nome di Arte derivasse da arctus: il braccio dell’uomo. Ipotesi affascinante, ancorché filologicamente scorretta. Quasi a voler sottolineare che nel processo creativo non dovrebbe mai venire a mancare il rapporto strettissimo con la materia da manipolare, elaborare, che sempre ci ricorda come tutto derivi dall’umiltà della terra e tutto alla terra ritorni. Comprese le idee, che si trasformano in plasma primigenio, sia esso acido, colore, tavoletta o tela con cui sporcarsi le mani, come avveniva nelle botteghe degli umanisti. Che a loro volta avevano appreso dai filosofi antichi ad interrogare il mondo per scoprine i significati riposti.

Ed è proprio questo il paradigma, questa la vita che qualche giorno fa ho ritrovato in tutta la sua prepotente e multiforme espressività nella casa studio di Martino Gaudiano, riflessa nelle opere appese ai muri o accatastate alle pareti, o ancora raccolte in grandi cartelle da architetto, approntate per essere scelte quali pezzi d’esposizione nella mostra di cui questo catalogo offre interessante testimonianza. E’ stata una visita intensa e ricchissima di emozioni che nel breve volgere di un’ora, guidato dalle spiegazioni dell’artefice, mi ha permesso di sfogliare anni di un percorso umano e artistico davvero eccezionale proprio perché autentico, e di annullare, in virtù della potenza che soltanto l’Arte può avere, il troppo tempo che separa l’oggi dal primo giorno in cui ho avuto la fortuna di incontrarne l’autore, che fu mio professore di Educazione Artistica alle scuole medie di San Daniele del Friuli, una vita fa ormai. Un insegnante giovanissimo, per età e per idee, capace di trasformare un’aula in un laboratorio sperimentale in cui permettere alla creatività degli allievi di giocare con soggetti, materiali, tecniche, cromie, molti decenni prima che tutto ciò diventasse una prassi imposta da una circolare ministeriale. E nel tempo quelle aule laboratorio sono divenute un tavolo di prova per mille curiosità intellettuali, sue e dei suoi ragazzi, spore disseminate da un maestro umile e sapiente, come ogni vero educatore dovrebbe imporsi di essere, e fiorite poi nella mente di generazioni di studenti, divenendo di volta in volta scenografie, luci di scena, rassegne teatrali, esposizioni, sempre all’inseguimento di quel concetto di bellezza che si fa ora gesto, oppure voce, infine, sempre, storia. Progetto di Vita. E si radica così profondamente nella radice dell’Umanità da risultarne elemento costitutivo e insostituibile.

Mi piace pensare che sia proprio questo il nucleo a fondamento di tutta la grammatica sottesa alle opere di Martino. Dai quadri, le incisioni, da tutto il ricchissimo corpus che ho qui, sotto i miei occhi meravigliati, per imbastire queste poche note, eterogeneo per tecniche, materiali e soggetti, ma unitario nella filosofia ad esso sottesa, trovo che una chiave di lettura, un denominatore comune, c’è, e trapela in trasparenza come un filo conduttore: ed è proprio l’Umanità, punto di partenza e punto di arrivo di ogni indagine del Nostro. Felice o reietta, immalinconita o sognante, cenciosa, latrante, laida e cadente o pervicacemente prepotente. Oppure sensuale e dirompente, o ancora dolcissima e appena sussurrata. Soggetta a infinite trasformazioni e metamorfosi, non tutte destinate ad approdare alla forma della redenzione, questa Umanità è colta nel suo stato imperfetto di crisalide o nella leggerezza di una rinata farfalla. Ma pur sempre di Umanità si tratta, grembo di nostra comune appartenenza, ritratta nei suoi vizi e nelle sue virtù, tra la materia che la imprigiona e la modella e il precipizio di un abisso forse solo apparentemente esteriore in cui rischia costantemente di scivolare: una crepa, o forse uno spiraglio, o ancora una prospettiva che si affaccia su sguardi persi a vertigine dentro le profondità di noi stessi. Disegnata a colpi di una luce violenta che ne squaderna le forme e apre squarci su cieli di rinnovata consapevolezza, anelito azzurro di salvezza o sogno capace di sottrarci all’indicibile bruttura della realtà.