Il mondo poetico di un artista emerge e si segnala con tanta maggiore evidenza quanti più sono gli apporti che costituiscono la sua dotazione culturale. Questa, nella ricerca di Martino Gaudiano, alimenta dagli anni ’70 una forza creativa che, con accelerazioni decise e pause di riflessione e di analisi proficue, è andata via via definendo un’arte dai contorni pienamente riconoscibili, quali espressioni dirette della sensibilità dell’autore.
La sua pittura è intrisa di umori che, assorbiti dalla classicità, convergono in una sintesi capace di mantenere la fragranza d’origine e di aprire contestualmente squarci illuminanti sulla realtà dei sentimenti e delle emozioni.
L’impianto compositivo vive su un’ampiezza scenografica che rinvia a un mondo “altro”, dove brulicano presenze come trasposizioni visive del microcosmo interiore, nate dal confronto con lo scenario dell’esistenza.
La dimensione del mito si quantifica in una figurazione capace di liberare energie lungo traiettorie virtuali, nelle quali si legge la decisa connotazione narrativa e affabulatrice dell’autore. Simulacri, ridotti talora a improbabili manichini, si mostrano nell’atto di comunicare qualche indizio dell’anima dell’artista: slancio vitalistico, ripiegamento interiore, scatto entusiastico di adesione al reale, considerazione problematica dell’esistente.
Le figure, inquadrate spesso dentro ambiti contornati da porzioni di architetture che fanno da sfondo, innescano con la luce che Gaudiano fa piovere su di esse un gioco di riverberi, anche perché i loro corpi fondono brani di anatomia propria con tratti di sviluppo fogliare, come se il corpo si aprisse alla lettura da parte dell’osservatore e lo invitasse a penetrare l’essenza significante dell’opera.
Dai tempi in cui le creature di Gaudiano apparivano scarne, ieratiche, immerse in una temperie di magia e silenzio, la ricerca è andata avanti fino alle presenze squadrate in anatomie che risultano spesso assemblaggi di porzioni geometriche, come un gioco di superfici convesse poste in contiguità con quelle concave a creare un gioco di movimenti spaziali che fanno diventare l’immagine una pura “presenza”. I corpi si disarticolano talora in brani tenuti assieme da un’anima vertebrale, come i personaggi dei fumetti: questi automi sembrano sfidare le leggi di gravità, camminando in equilibrio su funi tese da una parte all’altra della struttura architettonica.
Anche gli animali, gli uccelli, paiono provenire da un bestiario misterioso, dove le varie specie si rivelano per approssimazione di leggibilità, ma sono costituiti da articolazioni multiple di elementi arrotondati e combinati in un complesso che, alla fine, sembra più un robot meccanico che un’evidenza della natura.
Il colore pulsa di trasparenze che si dispongono in una pellicola finissima, sospesa tra l’aderenza minima al mondo reale e la volontà di trascenderlo. Qualche volta la mano dell’artista è guidata dal gusto per l’azzardo e dalla spinta a ricomporre la logica dell’esistente secondo schemi di pura fantasia: in Ruderi, per esempio, elementi architettonici ammassati in una verticalità problematica costituiscono una sorta di quinta teatrale squarciata da una specie di tromp l’oeil rovesciato che dà all’esterno, sul cielo. Il mondo interiore, nei ritmi che sfuggono a una quantificazione logica, e l’universo dei sogni, evocato per brani di presenze eterogenee, si incontrano nella pittura di Martino Gaudiano, che sa contemperare istanze surrealiste a slanci metafisici in una sintesi di volta in volta attenta a sottolineare gli aspetti enigmatici del vivere, il dato ironico della realtà, la congiunzione tra passato e presente entro una dimensione che ingloba tempi e luoghi diversi.
In alcune delle opere più recenti, danno il senso inebriante della vertigine gli intrichi vegetali, dove la pittura acquista rilievo dando corpo alle cose. L’indugio nel dettaglio, quasi con perizia da miniaturista, mostra chiaramente come il “mestiere”, fatto di tecnica sopraffina, si coniughi con l’istanza di attribuire potenza evocativa all’opera; è il caso di Fetonte, Prima della tempesta, Autunno e Primavera. E il disegno fluisce con una linea portata a racchiudere spazi delle emozioni in tracciati dove il gusto per le rese anatomiche e per gli inserti architettonici è governato sempre dalla norma dell’armonia.
Anche nelle incisioni la nervatura strutturale dell’immagine si caratterizza per un tratto che modula la propria consistenza in rapporto alla necessità di dare corpo e profondità all’immagine che “esce” dalla superficie per farsi rilievo testimoniale plastico. Qui la dialettica luce-ombra, bianco-nero è protagonista assoluta, mentre il fraseggio fitto del segno accompagna la rotondità dei volumi nell’incontro con la luce.
La storia artistica e umana di Martino Gaudiano si dipana lungo una sostanziale adesione alle fondamentali regole del disegno, nelle quali emerge con chiarezza una netta disposizione a trasformarle in avventure del pensiero, tradotte puntualmente in cifra figurale.
Qui il combustibile della fantasia libera le creature dalle leggi fisiche e le fa fluttuare nello spazio secondo una musicalità che – assieme a una concezione originale del rapporto con una variegata cifra cromatica - è il dato primario della concezione poetica dell’artista.